Secondo la definizione della Commissione Rodotà del 2007, i beni comuni sono “quei beni che, [...] a prescindere dalla loro appartenenza pubblica o privata [...], esprimono utilità funzionali all’esercizio dei diritti fondamentali e al libero sviluppo delle persone e dei quali, perciò, la legge deve garantire in ogni caso la fruizione collettiva, anche in favore delle generazioni future”. Da questa elaborazione fondante, il concetto di beni comuni è stato esteso e approfondito negli anni seguenti. Per identificare un bene come bene comune è necessario che questi venga riconosciuto come tale da una comunità di riferimento, che poi da un lato si prenda carico della sua cura e dall'altro ne diventi la principale utilizzatrice. I beni comuni infatti possiedono una “titolarità diffusa”, proprietari ne sono cioè i componenti stessi della comunità che “riconosce” il bene comune e non singole persone o lo stato.
Lo scopo di questo tavolo di lavoro è, partendo anche dal dibattito già in corso in varie città, tentare di capire se e come i dati in possesso della pubblica amministrazione possono essere considerati dei beni comuni. L'obiettivo è produrre una bozza di documento supportato da un insieme di casi reali e buone pratiche. Alcune questioni su cui porre l'attenzione potrebbero essere:
- I dati della pubblica amministrazione possono essere considerati beni comuni? Se no, dovrebbero diventarlo?
- Quale è la comunità di riferimento di questi dati? Limitandosi ai dati dei comuni, sono tutti e soli i cittadini dei comuni?
- Come fa la comunità di riferimento a prendersi cura degli open data? Possibili tracce per la risposta sono: verificandoli, usandoli e mettendoli a frutto, arricchendoli.
- Gli open data generati da iniziative private, in particolare iniziative di comunità aperte, possono/devono essere trattati come beni comuni?